Quella che oggi si chiama piazzale Matteotti è uno dei luoghi più radicalmente trasformati a partire da quella metà dell’800 da cui siamo partiti. Tutti lo conoscevano fino a vent’anni fa come piazzale delle corriere perché c’era una stazione da cui partivano e arrivavano gli autobus. Quando la stazione delle corriere è stata spostata, gli scavi hanno portato alla luce una domus romana, tenuta per anni aperta per gli scavi   e poi ricoperta. Oggi ne resta traccia in un singolare disegno di pietre bianche sopra un prato  che dovrebbero riproporre la pianta della domus e che circondano la scultura di Pietro Consagra, anche essa spostata da altrove, e assolutamente estranea a quella struttura. 

Tra piazzale Matteotti e via Gramsci c’è ancora un palazzetto che lascia intravvedere la sua eleganza liberty, se pure abbia cambiato completamente  destinazione d’uso. Si trattava del Politeama Sapis, centro della mondanità pesarese, dove si esibivano ballerine da operetta, si ascoltavano valzer viennesi e si proiettarono i primi film del cinema muto; fu il primo locale pubblico illuminato con la luce elettrica. E’ stato il luogo delle serate mondane della città, oggi sede degli uffici del lavoro. Nella piazzetta antistante  la statua del cantore dialettale Pasqualon  rallegra i passanti, che spesso toccano la statua del fedele cagnolino come gesto beneagurante, almeno così si dice.   

E sempre lì è stata la Federazione provinciale fascista e lo stile liberty si trasformò in uno stile ecclettico che si abbinava allo stile razionalista del monumento al fascio innalzato proprio lì davanti. Quando è stato buttato giù, dopo la guerra, i pezzi sono stati dispersi in giro e ogni tanto se ne intravedono dei frammenti in luoghi inaspettati. 

In quella parte di piazzale Matteotti è sorto negli anni ’70 un palazzo di vetro, simbolo di modernità, ma c’era anche un’altra costruzione d’eccellenza dell’epoca industriale e della rinascita economica: la pensilina del distributore AGIP che con l’ampia gittata di cemento armato, tipica dell’impostazione di Enrico Mattei, che fece della azienda una multinazionale, protagonista del miracolo economico postbellico e anche centro di influenza politica.  A Pesaro arrivarono intorno ai primi anni ’60 ma furono costruite a partire dagli anni ’50 da un architetto rimasto molto nell’ombra: Mario Baciocchi. Lui aveva un rapporto speciale con Mattei, che gli aveva affidato il lavoro per Metanopoli per cui aveva ideato progetti urbanistici, architetture e persino il nome, che dava una immagine piena di valore e di forza all’Eni.

La pensilina di Pesaro era bianca, sottile, raffinata, di cemento armato che con una unica linea avvolgeva tanto il piccolo benzinaio come la grande stazione di servizio, con eguale funzionalità ed eleganza. Ideò tredici varianti dello stesso modello che sono diventate simbolo della modernità del paesaggio italiano, che ne vide sorgere duecento all’anno. Il valore di questo progetto stava nel fatto che Mattei e Baciocchi puntavano a una idea di ristoro gestita da personale attento e creativo, contro le multinazionali straniere che delegavano l’accoglienza a privati, con un ricavo molto maggiore; un sogno etico incarnato dall’architettura. Ma  le italiane Pavesi e Motta si allearono con loro e il sogno svanì. Però a Pesaro ce n’è stata traccia.